In
primis, occorre chiarire alcune caratteristiche generali dei Private Equity. Essi
sono gestiti da un team di manager
professionisti (ie. investment manager)
che hanno come obiettivo l’acquisto (temporaneo) della maggioranza del capitale
di imprese, facendo ricorso massiccio al debito (leverage). Quindi, dopo un periodo variabile dai 3 ai 5 anni viene
definita una possibile way-out dall’investimento.
Il risultato di ogni singola operazione, misurato sinteticamente attraverso
l’indicatore IRR (Internal Rate of Return) calcolato al netto dei costi, delle commissioni
e dei carried interest determina un
rendimento netto atto a garantire ai sottoscrittori del fondo un adeguato
premio di rischio. In aggiunta al rendimento base, infatti i sottoscrittori del
fondo sono consapevoli del fatto che vengono affrontate operazioni ad alto
rischio, che scoraggiano normalmente l’investitore tradizionale, caratterizzati
sia da un elevato guadagno potenziale che da perdite potenziali significative.
Per giudicare i valori in gioco è frequente che si utilizzino parametri basati
su multipli dell’EBIDTA. Non volendo entrare nello specifico tecnico del valore
assoluto che questo numero deve assumere, devo comunque rilevare che vista l’impossibilità
di comparare deal diversi questo indicatore
non solo è ampiamente utilizzato ma de facto è un riferimento su cui si basano
anche le decisioni più critiche come un closing
(ie. raddoppio dell’investimento in 5 anni)
La
mia esperienza si riferisce in particolare ad una operazione di LBO dove
l’imprenditore, fondatore di una società di servizi, nell’affrontare un
problematico cambio generazionale coglie l’opportunità di uscita offerta da un
Private Equity di origine bancaria Italiana assistito da investitori istituzionali
(nella fattispecie un pool di banche). In particolare, gli elementi che hanno
influenzato positivamente la scelta di ingresso del Private Equity nel capitale
del target sono stati:
§ stabilità del business (alta redeption)
§ posizionamento di leadership
§
basso rischio
del business (alte barriere all’ingresso)
§
eccellente base
clienti
§
EBITDA/Ricavi
>12%
§
stabilità del
cash-flow
§
sviluppo nuovi
business
Nella
fase iniziale, si è cercato di dare continuità al coinvolgimento del socio
fondatore nella gestione operativa, in particolare mantenendo la posizione di
responsabilità sui risultati per i primi due anni. Questa fase è servita per la
‘crescita/affiancamento’ di un management
team interno (a parte l’ingresso del CFO) capace di poter gestire in
autonomia il business. L’apporto da parte del fondo di Private Equity di competenze
manageriali, anche con l’ausilio di consulenti esterni è stato fondamentale per
la scelta e creazione del team che, nella precedente gestione, non riusciva ad
esprimere il proprio potenziale. In questo primo periodo, è risultato di
primaria importanza coinvolgere il management team nella revisione del business plan o meglio del piano
industriale (a 5 anni) anche a causa di alcuni cambiamenti nel perimetro di
attività oltre alla necessità di legare
le performance con nuove regole di compensation
dei singoli manager in modo da aumentarne il commitment. Tutte le scelte strategiche, come dismissioni di
partecipazioni in attività non ritenute strategiche, sono state analizzate,
valutate e poi condivise fra il Private Equity e il nuovo team manageriale.
Le
nuove regole gestionali introdotte dal fondo di Private Equity hanno modificato
radicalmente il ruolo del CFO e del CEO. In particolare, l’introduzione di un
sistema di report gestionali su base trimestrale con analisi e discussioni in
varie sedi (ie. fondo, banche finanziatrici, staff/line interni) ha contribuito
a focalizzare maggiormente l’attenzione del CEO e CFO sulle performance aziendali.
In particolare, il report si focalizzava su indicatori sia economici che
patrimoniali con enfasi sugli aspetti reddituali (EBITDA) e finanziari (flussi
di cassa) comparati con il periodo precedente e con il budget. Inoltre, il reporting veniva integrato con
informazioni sull’andamento commerciale, dei competitor ed eventuali eventi rilevanti. Particolare enfasi era
data al capitale circolante, analizzandone le diverse componenti puntualmente
(ie. crediti, magazzini etc.). Se l’analisi degli scostamenti rilevava un trend
non previsto o anomalo veniva richiesta un ulteriore analisi e se necessario si
procedeva a concordare insieme al fondo le misure correttive da intraprendere. Per
le banche finanziatrici, venivano predisposti conti economici e stati
patrimoniali trimestrali mentre la relazione semestrale veniva certificata
dalla società di revisione. Su questi prospetti venivano calcolati alcuni
indici sintetici (covenant) che si
modificavano in base all’avanzamento del piano industriale, quali:
- rapporto tra indebitamento finanziario netto e
EBITDA (ie. <3,7 - 2)
- rapporto tra EBITDA/interessi passivi (ie.
>3 – 5)
- rapporto fra flussi di cassa operativi e
servizio del debito (ie. >1)
- rapporto fra indebitamento finanziario netto e
patrimonio netto (ie.<2,5 – 2.2)
- capex (ie. < Euro 800k – 200k)
I
suddetti covenant finanziari sono
stati utilizzati per:
- per fornire alle banche un informativa
sintetica sulla capacità della società di rispettare gli impegni presi
nella generazione di sufficienti flussi di cassa
- determinare il pricing del debito, variabile a seconda del rischio percepito.
Un altro aspetto che ha subito sensibili modifiche
è stata la governante societaria, in primis, la composizione del CDA con
l’ingresso oltre che di rappresentati del management del fondo di manager
interni (v. CEO/CFO), inoltre è stato rafforzato l’organismo di controllo con
l’affidamento del controllo contabile ad una società di revisione e il
cambiamento dell’intero collegio sindacale. Internamente, le deleghe operative
sono state ampliate ai dirigenti funzionali mentre i poteri di straordinaria
amministrazione insieme all’assunzione/dimissione di figure dirigenziali sono
rimaste in capo CDA.
Anche
l’analisi del business e la formulazione delle strategie di crescita sono state
influenzate dalla competenza mostrata dal fondo del settore di appartenenza e
dall’attenta analisi (spesso anche con l’ausilio di informazioni di “prima mano”)
del quadro competitivo. Tutti questi cambiamenti sono stati possibili solo perché
parte di una financial community.
Vorrei
chiudere, sottolineando come l’esperienza condotta, sia stata sotto vari
profili gratificante e abbia portato ad una creazione di valore come di seguito
indicato:
- valore EBITDA/ricavi >17%
- miglioramento costante della PFN
Inoltre,
elemento non da poco, l’ingresso del Private Equity ha contribuito alla
valorizzazione delle figure professionali presenti esaltandone il lato
imprenditoriale.
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