domenica 29 gennaio 2012

Il Business Plan come strumento di crescita


Mi è capitato diverse volte in azienda di gestire un nuovo progetto come una start-up, un'operazione di fusione o un nuovo business. In realtà modernamente organizzate, esiste una fase preparatoria che porta alla stesura, affidata al CFO o al Controller di un documento formale che viene discusso, condiviso e se approvato, utilizzato poi per monitorare l'avanzamento del progetto.

Tuttavia succede, in realtà padronali, che l'imprenditore agisca quasi d'impulso e lo ritenga invece un mero esercizio amministrativo/finanziario da svolgere in poco tempo, di fatto annullandone la maggiore valenza. In generale, gli imprenditori preferiscono agire subito piuttosto che pianificare con attenzione le loro mosse. La pianificazione poi, richiede un rilevante sforzo di sintesi e organicità che risulta di solito difficile per l'imprenditore che spesso non riesce a estrapolarsi dalla sue conoscenze specifiche.

Questo documento è il Business Plan o piano aziendale che presenta l'attività da svolgere e ne esamina in sintesi i fattori rilevanti per il successo. Esso è la sintesi di un progetto imprenditoriale, di cui esplora costi e strategie di gestione. Proprio per questo non può essere scritto di getto: la sua stesura necessita di un approfondito lavoro di ricerca e documentazione, soprattutto nella sua fase iniziale.

D'altra parte, si tratta di tempo ben speso: ho potuto verificare come ben altri siano i costi (e le perdite) per avviare un progetto o un'impresa senza alcuna preventiva analisi di fattibilità e senza un piano di gestione.

Ovvio che questo documento riveste un ruolo essenziale anche per gli interlocutori esterni, che sono agevolati nell'analisi da documenti strutturati secondo logiche coerenti e appropriate. Il business plan serve quindi a presentare il progetto in modo convincente ai possibili finanziatori, e a testare in modo efficace la motivazione e determinazione dei futuri collaboratori. Per questo é opportuno che tutti i componenti del gruppo imprenditoriale si facciano carico della preparazione di una parte del documento: quella più vicina alle proprie (future) responsabilità.

L'imprenditore che si accinge quindi a costruire, ampliare o ad acquisire un' impresa si deve rendere sempre più conto di quanto sia importante il concetto di trasparenza nei confronti di possibili finanziatori o semplicemente il vantaggio di poter disporre di uno strumento di pianificazione e di verifica costante dello sviluppo.

Durante la stesura di un business plan, l'imprenditore o l'azienda impegnata in una operazione strategica (LBO, cessione di ramo aziendale, gara di appalto, ecc.), esamina a fondo ogni singolo aspetto della futura impresa attraverso previsioni e simulazioni che evidenziano 'sulla carta' le possibili problematiche e le relative soluzioni. Il risultato di questa analisi può talvolta portare alla luce problemi che non si possono risolvere e il fatto di averli individuati in questo stadio permetterà comunque di rinunciare all'impresa prima di prendere impegni finanziari.

Tutto questo può avvenire solo se il business plan oltre che essere un'accurata analisi del progetto, utilizza dati il più possibile aderenti alla realtà correlati a previsioni per il futuro giustificabili. Se queste premesse vengono rispettate, il business plan contribuirà ad innalzare le probabilità di successo dell'impresa e a costituire una valida base di raffronto per il suo prosieguo.

L'importanza di questo documento si riassume nella sua duplice valenza, all'esterno, in quanto conferisce maggiore credibilità all'iniziativa e tranquillizza i terzi (soprattutto le banche) che dovranno operare con la nuova entità, all'interno costituisce una valida base di partenza per la stesura di un Action Plan, mirante a tramutare in azioni le strategie definite nel business plan.

Il business plan ha tre funzioni. Innanzitutto, si tratta di un piano che può servire da spunto per lo sviluppo di idee su come gestire l'impresa; l'analisi dell'azienda a tutti i livelli, dal marketing al finanziario e all'operativo, consente di mettere a punto le proprie strategie e di sbagliare 'sulla carta' invece che sulla realtà. In secondo luogo, il business plan è uno strumento di verifica che consente di valutare la performance effettiva dell'impresa nel tempo. Trascorso qualche tempo, e in seguito su base periodica, si dovrebbe procedere ad una revisione del business plan, per individuare i possibili scostamenti dal piano originale (in particolare nella sezione che riguarda la parte finanziaria/budget operativo), valutare se siano stati utili o dannosi e stabilire le future strategie operative dell'azienda. 

Il terzo motivo per preparare un business plan è quello di reperire finanziamenti. Ed assume notevole rilevanza, soprattutto oggi dove il clima di trasparenza e l'alto rischio degli investimenti fa si che i possibili finanziatori non decidano di investire il loro denaro senza aver visto prima, come minimo, un business plan. Non ci si deve illudere però che il business plan sia sufficiente per ottenere un finanziamento, esso rappresenta solamente la base su cui il potenziale finanziatore inizia a valutare la validità dell'investimento ma proprio per questo motivo deve essere redatto con estrema cura e ponderazione

Il business plan è quindi un documento che serve a delineare il quadro di un'azienda nell'arco di un determinato orizzonte temporale e non dovrebbe superare i tre/cinque anni. I dati prospettici devono essere adeguatamente supportati da motivazioni plausibili e, il più possibile, da dati reali (es. l'evidenza di un trend futuro di vendita supportato da dati storici e/o ricerche di mercato) trasmettendo, nel medesimo tempo, ottimismo.

Per trasmettere immediatamente una buona impressione e dipingere un quadro dinamico della società, il business plan deve avere una grafica gradevole e professionale, in considerazione del fatto che questi aspetti hanno una notevole influenza sull'attirare l'attenzione del lettore. Inutile soffermarsi sulla qualità del testo e sugli errori grammaticali che devono essere assolutamente evitati.

Sebbene il business plan venga spesso associato alla costituzione di una nuova impresa (es. operazioni di venture capital), esso rappresenta una valida opportunità per stabilire una linea di orientamento unitaria e coerente a tutti i livelli dell'azienda. Questo obiettivo verrà raggiunto facendo partecipare le aree e i responsabili direttamente in modo che, raggiunta la forma definitiva del piano, gli stessi condividano già il quadro prospettato dal piano. Sotto questo profilo il business plan rappresenta il primo passo verso la pianificazione strategica di un'azienda.




martedì 24 gennaio 2012

TURNAROUND un approccio possibile...

Lo scenario che descrivo si basa sulla mia esperienza diretta e ovviamente considerando l’attuale congiuntura economica, prende come riferimento una tipica società industriale italiana padronale in fase di passaggio generazionale o di cessione con tematiche di perdite economiche (distruzione del valore, possibile "going concern"...). 


In una situazione come quella sopra descritta, un approccio valido è quello che affronta in modo sistemico tutte le variabili (esempio la struttura organizzativa, i processi, le risorse) in un’ottica di trovare una coerenza degli stessi con una strategia perseguibile (es. leader di costo, differenziazione). Per avere successo, questo approccio deve essere gestito tenendo presente la variabile organizzativa (ie. change management). 

L’inevitabile inserimento di nuovi processi, nuove procedure, nuovi valori culturali DEVE costituire un elemento di rottura con il passato che permetta di ottenere gli obiettivi prefissati con la proprietà, altrimenti si rischia di continuare a fare business ”as usual”. Elemento indispensabile per attuare il change management e conseguentemente il TURNAROUND è l’inserimento di nuove risorse nei posti chiave. Senza questo cambiamento tutto diventa più difficile. 


In un primo momento è fondamentale appoggiarsi ad un consulente esperto in queste tematiche esterno che inneschi il processo. In questa veste, ritengo che l'intervento iniziale possa essere suddiviso in 3 fasi: 

(I) Fase di analisi 

In questa fase si svolgono sostanzialmente attività di analisi critica dell’organizzazione e dei processi seguiti. Il tutto nell’ottica di identificare tutte le situazioni di criticità esistenti facendo riferimento alle "best practice" del business. Il lavoro si svolge sostanzialmente con interviste ai responsabili delle funzioni aziendali e con analisi dei documenti economici finanziari. L'output di questa fase produce un documento base che deve essere analizzato dal management dell'azienda* che partecipa al turnaround per identificare i necessari cambiamenti. 

(II) Business modelling e Piano strategico 

In funzione del modello di business identificato, viene predisposto un modello finanziario in grado di elaborare i dati economico-finanziari di piano. Il modello, con le opportune integrazioni, può essere utilizzato anche per elaborare il budget annuale che deve essere necessariamente rivisto. Il modello viene predisposto per effettuare anche analisi di sensitività (logica "what-if" e "what-for") 

(III) Action Plan 

Al fine di attuare il piano e raggiungere gli obiettivi, vengono identificati i progetti di miglioramento e viene predisposto il piano di azione nella seguente logica:

- what (casa fare) 
- who (chi lo fa) 
- when (quando deve essere fatto)

Contemporaneamente vengono sviluppate metodologie di monitoraggio dell’avanzamento dei progetti (ie. WBS, Milestones). Anche qui l'aiuto esterno può essere utile per focalizzate il team interno al raggiungimento, nelle tempistiche decise, degli obiettivi prefissati.

In questo contesto, tutto questo deve essere fortemente voluto dalla proprietà e necessita anche del coraggio di voler creare discontinuità...

Purtroppo non tutte queste fasi possono susseguirsi. E' possibile che, il risultato della prima analisi o anche i primi cruciali "100 giorni" portino a considerare non (più) percorribile una ristrutturazione e quindi si debba procedere con azioni che fermino definitivamente ulteriori  perdite, ma qui si entra in tematiche che esulano dalla mia sintesi.


* in questa prima fase il team interno deve essere ristretto al massimo come numero e la scelta dei componenti va accuratamente ponderata. Un importante ruolo lo gioca la figura del consulente che di volta in volta può assumere o un ruolo operativo (ie. DG) o un ruolo di supporto.

sabato 14 gennaio 2012

Leadership e passione


Marchionne dà la pagella ai manager
Lezione a 500 studenti: così si diventa leader

TEODORO CHIARELLI  [LA STAMPA - 14-01-2012, FONTE CITATA]

Metti un pomeriggio cinquecento studenti universitari a lezione di leadership e un top manager nelle vesti di docente. Un professore non convenzionale, che arriva qui sulle sponde del lago Michigan e invece del solito sermone di circostanza spiega agli studenti lo schema con il quale lui seleziona il suo gruppo dirigente. Giovedì 12 gennaio, Università del Michigan, Ross School of Business: Sergio Marchionne, presidente di Chrysler e amministratore delegato di Fiat, si presenta fra gli applausi degli studenti. E’ sempre la stessa storia: criticato aspramente e spesso avversato in Italia, qui a Detroit il manager italo-canadese che ha trascinato la Chrysler fuori dall’inferno è visto come un eroe.

Sale sul palco, «Serghìo», come lo chiamano da queste parti, e ripercorre la storia recente della casa di Auburn Hills, da quando nel 2009 iniziò l’avventura della Fiat - la società era fallita e perdeva un miliardo di dollari al mese - fino al clamoroso risanamento e all’utile operativo di 2 miliardi di dollari del 2011. La riapertura degli stabilimenti, il terzo turno a Jefferson, il successo della Jeep, il lancio della Dodge Dart.

Ma agli studenti Marchionne porta soprattutto due slide, due documenti interni, che rappresentano il modello di selezione dei quadri dirigenti (lui preferisce chiamarli «leader») adottato in Fiat e Chrysler. Uno strumento utilizzato in ogni azienda del gruppo almeno due volte l’anno. «Io personalmente sono coinvolto nella valutazione di circa mille leader e nell’impostazione della loro carriera».

Marchionne illustra il documento proiettato alle sue spalle. «Sono le caratteristiche richieste a un leader, secondo due dimensioni: la capacità di guidare il cambiamento e di guidare le persone. Un elenco costruito nel corso degli anni, che raccoglie la mia esperienza personale e quella dei miei collaboratori su ciò che è davvero importante nell’esercizio della leadership». Marchionne li definisce come i princìpi che sono parte integrante della sua filosofia aziendale: spirito competitivo, affidabilità, integrità, velocità di decisione, passione ed energia nel raggiungere i risultati. Un elenco che racchiude anche i valori che, secondo il top manager, sono essenziali nella gestione delle persone: trasparenza, senso di responsabilità, condivisione delle informazioni e dei meriti, impegno a far crescere gli altri e a trattare tutti con dignità ed equità. «Solo l’insieme di queste qualità - sentenzia Marchionne - può definire un leader».

Alle sue spalle compare quindi un secondo documento, più matematico: una matrice suddivisa in nove quadranti (di colore verde, giallo, arancione e rosso), in base alla quale vengono periodicamente valutati i manager Chrysler e Fiat. Una valutazione che è il frutto dell’incrocio tra le performance nel business e le qualità di leadership espresse.

Nei quadranti verdi si collocano le risorse migliori, su cui puntare per il futuro. Quelli gialli richiedono un’ulteriore analisi nel giro di 6-12 mesi. Per quelli arancione va presa una decisione tempestiva, entro 3 mesi. «Chi è nel quadrante rosso non può trovare spazio nelle nostre aziende». Il risultato, spiega con orgoglio Marchionne, sono manager «capacidi pensare e lavorare oltre gli schemi, persone con una mente libera». Gli stessi che hanno stupito l’America affidando lo spot del rilancio a un rapper molto discusso per il linguaggio crudo e diretto delle sue canzoni come Eminem. Lo spot più visto e premiato del 2011.


venerdì 13 gennaio 2012

C.A.G.R. (Compound Annual Growth Rate)

Il CAGR (Compound Annual Growth Rate), o tasso annuo di crescita composto, è un indice che rappresenta il tasso di crescita di un certo valore in un dato arco di tempo (ie. un investimento, ricavi...).

CAGR non è il rendimento effettivo nella realtà. Si tratta di un numero immaginario che descrive la velocità con cui un investimento sarebbe cresciuto se fosse cresciuto ad un tasso costante.

Il CAGR essendo sensibile al periodo considerato si presta a manipolazioni, conviene quindi considerarlo con attenzione. In particolare, se si riferisce a ipotesi di investimento e come sopra ricordato, basandosi su valori storici, non ne considera l’eventuale volatilità. E’ comunque molto utile per paragonare le performance di gruppi omogenei (ie. società, azioni).

Segue un esempio pratico di calcolo con le relative formule dirette (e loro inverse) in Excel oppure utilizzando la calcolatrice finanziaria HP12C in RPN.


Variabili:
VF= VALORE FINALE
VI= VALORE INIZIALE
P= N.PERIODI *

CALCOLO CAGR SU EXCEL

CAGR=(VF/VI)^(1/P)-1
VF= (CAGR%+1)^P*VI
P=(LN§(VF/VI))/LN§(CAGR%+1)
§ Logaritmo naturale ie.funzione di Excel; LN()

CALCOLO CAGR SU HP12C 

Premere 0, poi [PMT].
Digitare VI, premere [CHS], e poi [PV].
Digitare VF, e premere [FV].
Digitare P, e poi premere [n].
Premere [i] per calcolare il CAGR

 Esempi:

per trovare il CAGR:
VI
19.917
VF
43.103
P
5
CAGR (%):
16,70%


per trovare VF
VI
19.917
CAGR (%):
16,70%
P
5
VF:
 43.103


per trovare P
VI
19.917
VF
43.103
CAGR (%):
16,70%
P:
5,00
* att ! esempio, dati; anno1, anno2, anno3, anno4 equivale a 3 periodi

Foglio excel di esempio (copiare il link su un browser):

https://www.dropbox.com/s/ljldeaghffe2bky/CAGR_esempio.xls?dl=0

Intrapprendere...


[…] migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ una vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.

[Luigi Einaudi]

venerdì 6 gennaio 2012

LBO e Covenant

Leveraged buy-out (L.B.O.) significa acquisizione attraverso debito. In sostanza tale procedura consiste in una complessa serie di operazioni finanziarie volte all’acquisto di una società. Solitamente a promuovere offerte di questo tipo sono le società di private equity (PE).

Il leveraged buy-out prevede la creazione di una società veicolo (newco) nella quale affluiscono le risorse finanziarie dell’offerente: equity (capitale) ed indebitamento (leverage).

Di norma, la società newco, in base al contratto di finanziamento stipulato, calcola periodicamente alcuni indici sintetici (ie. covenant) quali ad esempio:

• rapporto tra indebitamento finanziario netto e EBITDA
• rapporto tra EBITDA/interessi passivi
• rapporto fra flussi di cassa operativi e servizio del debito
• rapporto fra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto
• capex (limite massimo spesa)
....etc.

Questi indici sono necessari in primo luogo per fornire alle banche (pool) un informativa sintetica sulla capacità della società di rispettare gli impegni presi e cioè nella generazione di sufficienti flussi di cassa a copertura delle rate del finanziamento, sia come possibile determinante del costo del debito (tasso d’interesse di riferimento + spread) , variabile a seconda del rischio percepito. Di solito si stabiliscono soglie al di la delle quali scattano o benefici (riduzione dello spread) o malefici (aumenti) per la società, senza citare ovviamente i casi di default. In quest'ultimo caso, se il default non è grave e sistematico, normalmente è prevista una fase di (ri)negoziazione che prevedere la rischedulazione del debito oltre da un costo una tantum aggiuntivo (waiver fee) da corrispondere alle banche finanziatrici.

La parola “Covenant” risale al verbo latino convenire che originariamente significa "accordo formale e vincolante". Nell'attuale accezione finanziaria tale accordo intercorre tra un'azienda e le sue banche finanziatrici (pool): per tutelarsi infatti da una gestione "disinvolta" dei finanziamenti accordati vengono poste clausole vincolanti che l'azienda è tenuta a rispettare, pena il ritiro del finanziamento o la sua rinegoziazione obbligatoria a condizioni meno favorevoli.

lunedì 2 gennaio 2012

Articolo del Sole24Ore sulla...fase attuale

Fonte: ilSole24Ore

L’ingresso del Private Equity nel capitale di una PMI: cosa cambia?

E’ ormai evidente come gli operatori di Private Equity possano giocare un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle Imprese ed in particolare di quelle medio-piccole, che rappresentano la vera risorsa del sistema imprenditoriale del nostro paese. Le migliori PMI hanno così una possibilità aggiuntiva (se non esclusiva) di accedere alle necessarie risorse finanziarie per far fronte alle specifiche esigenze di crescita. D’altro canto, non solo le operazioni di early-stage/expansion trovano una valida risposta nei Private Equity, ma anche (e soprattutto) buy-out. Laddove l’impresa a carattere familiare desideri disinvestire con una certa rapidità vuoi per motivi opportunistici legati alla volontà di monetizzare in tutto o in parte il goodwill, che di successione (ie. ricambio generazionale problematico) trova nei fondi di Private Equity una valida risposta e quindi la possibilità di monetizzazione in tempi più o meno rapidi gli asset posseduti. In ogni operazione conclusa con successo, l’apporto del Private Equity e dei suoi investement manager ha contribuito oltre che al raggiungimento degli obiettivi economici prefissati da tutti anche ad apportare all’interno della società oggetto del deal nuovi elementi di crescita e sviluppo, come una cultura manageriale più aperta e innovativa e orientata soprattutto alla creazione del valore facendo leva sugli skill del management.

In primis, occorre chiarire alcune caratteristiche generali dei Private Equity. Essi sono gestiti da un  team di manager professionisti (ie. investment manager) che hanno come obiettivo l’acquisto (temporaneo) della maggioranza del capitale di imprese, facendo ricorso massiccio al debito (leverage). Quindi, dopo un periodo variabile dai 3 ai 5 anni viene definita una possibile way-out dall’investimento. Il risultato di ogni singola operazione, misurato sinteticamente attraverso l’indicatore IRR (Internal Rate of Return) calcolato al netto dei costi, delle commissioni e dei carried interest determina un rendimento netto atto a garantire ai sottoscrittori del fondo un adeguato premio di rischio. In aggiunta al rendimento base, infatti i sottoscrittori del fondo sono consapevoli del fatto che vengono affrontate operazioni ad alto rischio, che scoraggiano normalmente l’investitore tradizionale, caratterizzati sia da un elevato guadagno potenziale che da perdite potenziali significative. Per giudicare i valori in gioco è frequente che si utilizzino parametri basati su multipli dell’EBIDTA. Non volendo entrare nello specifico tecnico del valore assoluto che questo numero deve assumere, devo comunque rilevare che vista l’impossibilità di comparare deal diversi questo indicatore non solo è ampiamente utilizzato ma de facto è un riferimento su cui si basano anche le decisioni più critiche come un closing (ie. raddoppio dell’investimento in 5 anni)

La mia esperienza si riferisce in particolare ad una operazione di LBO dove l’imprenditore, fondatore di una società di servizi, nell’affrontare un problematico cambio generazionale coglie l’opportunità di uscita offerta da un Private Equity di origine bancaria Italiana assistito da investitori istituzionali (nella fattispecie un pool di banche). In particolare, gli elementi che hanno influenzato positivamente la scelta di ingresso del Private Equity nel capitale del target sono stati:

§  stabilità del business (alta redeption)
§  posizionamento di leadership
§  basso rischio del business (alte barriere all’ingresso)
§  eccellente base clienti
§  EBITDA/Ricavi >12%
§  stabilità del cash-flow
§  sviluppo nuovi business

Nella fase iniziale, si è cercato di dare continuità al coinvolgimento del socio fondatore nella gestione operativa, in particolare mantenendo la posizione di responsabilità sui risultati per i primi due anni. Questa fase è servita per la ‘crescita/affiancamento’ di un management team interno (a parte l’ingresso del CFO) capace di poter gestire in autonomia il business. L’apporto da parte del fondo di Private Equity di competenze manageriali, anche con l’ausilio di consulenti esterni è stato fondamentale per la scelta e creazione del team che, nella precedente gestione, non riusciva ad esprimere il proprio potenziale. In questo primo periodo, è risultato di primaria importanza coinvolgere il management team nella revisione del business plan o meglio del piano industriale (a 5 anni) anche a causa di alcuni cambiamenti nel perimetro di attività oltre alla necessità di  legare le performance con nuove regole di compensation dei singoli manager in modo da aumentarne il commitment. Tutte le scelte strategiche, come dismissioni di partecipazioni in attività non ritenute strategiche, sono state analizzate, valutate e poi condivise fra il Private Equity e il nuovo team manageriale.

Le nuove regole gestionali introdotte dal fondo di Private Equity hanno modificato radicalmente il ruolo del CFO e del CEO. In particolare, l’introduzione di un sistema di report gestionali su base trimestrale con analisi e discussioni in varie sedi (ie. fondo, banche finanziatrici, staff/line interni) ha contribuito a focalizzare maggiormente l’attenzione del CEO e CFO sulle performance aziendali. In particolare, il report si focalizzava su indicatori sia economici che patrimoniali con enfasi sugli aspetti reddituali (EBITDA) e finanziari (flussi di cassa) comparati con il periodo precedente e con il budget. Inoltre, il reporting veniva integrato con informazioni sull’andamento commerciale, dei competitor ed eventuali eventi rilevanti. Particolare enfasi era data al capitale circolante, analizzandone le diverse componenti puntualmente (ie. crediti, magazzini etc.). Se l’analisi degli scostamenti rilevava un trend non previsto o anomalo veniva richiesta un ulteriore analisi e se necessario si procedeva a concordare insieme al fondo le misure correttive da intraprendere. Per le banche finanziatrici, venivano predisposti conti economici e stati patrimoniali trimestrali mentre la relazione semestrale veniva certificata dalla società di revisione. Su questi prospetti venivano calcolati alcuni indici sintetici (covenant) che si modificavano in base all’avanzamento del piano industriale, quali:

  • rapporto tra indebitamento finanziario netto e EBITDA (ie. <3,7 - 2)
  • rapporto tra EBITDA/interessi passivi (ie. >3 – 5)
  • rapporto fra flussi di cassa operativi e servizio del debito (ie. >1)
  • rapporto fra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto (ie.<2,5 – 2.2)
  • capex (ie. < Euro 800k – 200k)

I suddetti covenant finanziari sono stati utilizzati per:

  • per fornire alle banche un informativa sintetica sulla capacità della società di rispettare gli impegni presi nella generazione di sufficienti flussi di cassa
  • determinare il pricing del debito, variabile a seconda del rischio percepito.

Un  altro aspetto che ha subito sensibili modifiche è stata la governante societaria, in primis, la composizione del CDA con l’ingresso oltre che di rappresentati del management del fondo di manager interni (v. CEO/CFO), inoltre è stato rafforzato l’organismo di controllo con l’affidamento del controllo contabile ad una società di revisione e il cambiamento dell’intero collegio sindacale. Internamente, le deleghe operative sono state ampliate ai dirigenti funzionali mentre i poteri di straordinaria amministrazione insieme all’assunzione/dimissione di figure dirigenziali sono rimaste in capo CDA.

Anche l’analisi del business e la formulazione delle strategie di crescita sono state influenzate dalla competenza mostrata dal fondo del settore di appartenenza e dall’attenta analisi (spesso anche con l’ausilio di informazioni di “prima mano”) del quadro competitivo. Tutti questi cambiamenti sono stati possibili solo perché parte di una financial community.

Vorrei chiudere, sottolineando come l’esperienza condotta, sia stata sotto vari profili gratificante e abbia portato ad una creazione di valore come di seguito indicato:

  • valore EBITDA/ricavi >17%
  • miglioramento costante della PFN

Inoltre, elemento non da poco, l’ingresso del Private Equity ha contribuito alla valorizzazione delle figure professionali presenti esaltandone il lato imprenditoriale.