lunedì 2 gennaio 2012

L’ingresso del Private Equity nel capitale di una PMI: cosa cambia?

E’ ormai evidente come gli operatori di Private Equity possano giocare un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle Imprese ed in particolare di quelle medio-piccole, che rappresentano la vera risorsa del sistema imprenditoriale del nostro paese. Le migliori PMI hanno così una possibilità aggiuntiva (se non esclusiva) di accedere alle necessarie risorse finanziarie per far fronte alle specifiche esigenze di crescita. D’altro canto, non solo le operazioni di early-stage/expansion trovano una valida risposta nei Private Equity, ma anche (e soprattutto) buy-out. Laddove l’impresa a carattere familiare desideri disinvestire con una certa rapidità vuoi per motivi opportunistici legati alla volontà di monetizzare in tutto o in parte il goodwill, che di successione (ie. ricambio generazionale problematico) trova nei fondi di Private Equity una valida risposta e quindi la possibilità di monetizzazione in tempi più o meno rapidi gli asset posseduti. In ogni operazione conclusa con successo, l’apporto del Private Equity e dei suoi investement manager ha contribuito oltre che al raggiungimento degli obiettivi economici prefissati da tutti anche ad apportare all’interno della società oggetto del deal nuovi elementi di crescita e sviluppo, come una cultura manageriale più aperta e innovativa e orientata soprattutto alla creazione del valore facendo leva sugli skill del management.

In primis, occorre chiarire alcune caratteristiche generali dei Private Equity. Essi sono gestiti da un  team di manager professionisti (ie. investment manager) che hanno come obiettivo l’acquisto (temporaneo) della maggioranza del capitale di imprese, facendo ricorso massiccio al debito (leverage). Quindi, dopo un periodo variabile dai 3 ai 5 anni viene definita una possibile way-out dall’investimento. Il risultato di ogni singola operazione, misurato sinteticamente attraverso l’indicatore IRR (Internal Rate of Return) calcolato al netto dei costi, delle commissioni e dei carried interest determina un rendimento netto atto a garantire ai sottoscrittori del fondo un adeguato premio di rischio. In aggiunta al rendimento base, infatti i sottoscrittori del fondo sono consapevoli del fatto che vengono affrontate operazioni ad alto rischio, che scoraggiano normalmente l’investitore tradizionale, caratterizzati sia da un elevato guadagno potenziale che da perdite potenziali significative. Per giudicare i valori in gioco è frequente che si utilizzino parametri basati su multipli dell’EBIDTA. Non volendo entrare nello specifico tecnico del valore assoluto che questo numero deve assumere, devo comunque rilevare che vista l’impossibilità di comparare deal diversi questo indicatore non solo è ampiamente utilizzato ma de facto è un riferimento su cui si basano anche le decisioni più critiche come un closing (ie. raddoppio dell’investimento in 5 anni)

La mia esperienza si riferisce in particolare ad una operazione di LBO dove l’imprenditore, fondatore di una società di servizi, nell’affrontare un problematico cambio generazionale coglie l’opportunità di uscita offerta da un Private Equity di origine bancaria Italiana assistito da investitori istituzionali (nella fattispecie un pool di banche). In particolare, gli elementi che hanno influenzato positivamente la scelta di ingresso del Private Equity nel capitale del target sono stati:

§  stabilità del business (alta redeption)
§  posizionamento di leadership
§  basso rischio del business (alte barriere all’ingresso)
§  eccellente base clienti
§  EBITDA/Ricavi >12%
§  stabilità del cash-flow
§  sviluppo nuovi business

Nella fase iniziale, si è cercato di dare continuità al coinvolgimento del socio fondatore nella gestione operativa, in particolare mantenendo la posizione di responsabilità sui risultati per i primi due anni. Questa fase è servita per la ‘crescita/affiancamento’ di un management team interno (a parte l’ingresso del CFO) capace di poter gestire in autonomia il business. L’apporto da parte del fondo di Private Equity di competenze manageriali, anche con l’ausilio di consulenti esterni è stato fondamentale per la scelta e creazione del team che, nella precedente gestione, non riusciva ad esprimere il proprio potenziale. In questo primo periodo, è risultato di primaria importanza coinvolgere il management team nella revisione del business plan o meglio del piano industriale (a 5 anni) anche a causa di alcuni cambiamenti nel perimetro di attività oltre alla necessità di  legare le performance con nuove regole di compensation dei singoli manager in modo da aumentarne il commitment. Tutte le scelte strategiche, come dismissioni di partecipazioni in attività non ritenute strategiche, sono state analizzate, valutate e poi condivise fra il Private Equity e il nuovo team manageriale.

Le nuove regole gestionali introdotte dal fondo di Private Equity hanno modificato radicalmente il ruolo del CFO e del CEO. In particolare, l’introduzione di un sistema di report gestionali su base trimestrale con analisi e discussioni in varie sedi (ie. fondo, banche finanziatrici, staff/line interni) ha contribuito a focalizzare maggiormente l’attenzione del CEO e CFO sulle performance aziendali. In particolare, il report si focalizzava su indicatori sia economici che patrimoniali con enfasi sugli aspetti reddituali (EBITDA) e finanziari (flussi di cassa) comparati con il periodo precedente e con il budget. Inoltre, il reporting veniva integrato con informazioni sull’andamento commerciale, dei competitor ed eventuali eventi rilevanti. Particolare enfasi era data al capitale circolante, analizzandone le diverse componenti puntualmente (ie. crediti, magazzini etc.). Se l’analisi degli scostamenti rilevava un trend non previsto o anomalo veniva richiesta un ulteriore analisi e se necessario si procedeva a concordare insieme al fondo le misure correttive da intraprendere. Per le banche finanziatrici, venivano predisposti conti economici e stati patrimoniali trimestrali mentre la relazione semestrale veniva certificata dalla società di revisione. Su questi prospetti venivano calcolati alcuni indici sintetici (covenant) che si modificavano in base all’avanzamento del piano industriale, quali:

  • rapporto tra indebitamento finanziario netto e EBITDA (ie. <3,7 - 2)
  • rapporto tra EBITDA/interessi passivi (ie. >3 – 5)
  • rapporto fra flussi di cassa operativi e servizio del debito (ie. >1)
  • rapporto fra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto (ie.<2,5 – 2.2)
  • capex (ie. < Euro 800k – 200k)

I suddetti covenant finanziari sono stati utilizzati per:

  • per fornire alle banche un informativa sintetica sulla capacità della società di rispettare gli impegni presi nella generazione di sufficienti flussi di cassa
  • determinare il pricing del debito, variabile a seconda del rischio percepito.

Un  altro aspetto che ha subito sensibili modifiche è stata la governante societaria, in primis, la composizione del CDA con l’ingresso oltre che di rappresentati del management del fondo di manager interni (v. CEO/CFO), inoltre è stato rafforzato l’organismo di controllo con l’affidamento del controllo contabile ad una società di revisione e il cambiamento dell’intero collegio sindacale. Internamente, le deleghe operative sono state ampliate ai dirigenti funzionali mentre i poteri di straordinaria amministrazione insieme all’assunzione/dimissione di figure dirigenziali sono rimaste in capo CDA.

Anche l’analisi del business e la formulazione delle strategie di crescita sono state influenzate dalla competenza mostrata dal fondo del settore di appartenenza e dall’attenta analisi (spesso anche con l’ausilio di informazioni di “prima mano”) del quadro competitivo. Tutti questi cambiamenti sono stati possibili solo perché parte di una financial community.

Vorrei chiudere, sottolineando come l’esperienza condotta, sia stata sotto vari profili gratificante e abbia portato ad una creazione di valore come di seguito indicato:

  • valore EBITDA/ricavi >17%
  • miglioramento costante della PFN

Inoltre, elemento non da poco, l’ingresso del Private Equity ha contribuito alla valorizzazione delle figure professionali presenti esaltandone il lato imprenditoriale.

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